Su Antonia Pozzi hanno scritto in tanti, e non è un approccio esclusivamente poetico il mio, ma soprattutto di tipo umano, esistenziale, come mi capita, del resto, con tutti gli autori che leggo. Antonia è un caso a parte, però, e vi spiego perché: la sua è una lettura faticosa, sofferta, a volte soffocante. Pesa come uno dei macigni su cui si faceva ritrarre sulle sue montagne o che lei stessa amava fotografare.
Un amore mancato quello col suo adorato prof. di latino e greco del liceo, ma fin qui, niente di eclatante: chi di noi non ha avuto un amore contrastato dai familiari? Credo la maggior parte. Eppure per Antonia comincia il declino da questo fallimento, una discesa infernale che non le darà tregua, attraverso nuovi amori che non saranno ricambiati o che non la renderanno mai felice. Un bisogno d’amore che non sarà mai colmato. Antonio M. Cervi, con lui sì, avrebbe formato una coppia, una famiglia. Ma restano solo Le mani sulle piaghe. E là dove il silenzio/ è un’attesa di morte o di salvezza/ il silenzio e la fede vestiranno/ la mia esistenza nuda. Perché è costretta a dirgli addio nel Canto rassegnato del suo amore. Arriveremo giù, fino a quel ponte/ sorretto dallo scroscio del torrente:/ Io resterò sul greto, fra i cespugli/ dove l’acqua non giunge, fra le pietre…/ tu continuerai pel tuo cammino.
Mi fa paura la nudità di Antonia, perché è la solitudine fatta persona. No: sono sola. Un’anima aggrappata al proprio amore ma maledettamente sola. Antonia, sola e stanca della vita che vede come un Sonno. O vita/perché/ nel tuo viaggio mi porti/ ancora/ perché / il mio pesante sonno/trascini? La porta che si chiude è quella della sua anima. Io lo so/ è l’ultimo giorno/ quando un’unica lama di luce/ pioverà dall’estremo spiraglio/ dentro la tenebra/ allora sarà l’onda mostruosa/ l’urto tremendo/ l’urlo mortale/ delle parole non nate/ verso l’ultimo sogno di sole. Dove sono finiti i sogni di Antonia Pozzi? Schiacciati dalla famiglia, dalla società, dalla vita stessa? In un fosso.
Ma sarà davvero la pace, questo morire per sapere? Mi fa paura questa nudità. E se un giorno nuda, sola/ stesa supina sotto troppa terra/ starò, quando la morte avrà chiamato. No, Antonia, l’hai chiamata tu, la morte. Nel fosso della tua solitudine, della tua nudità, quel 3 dicembre del ’38.
No, non è rimasta un’esile scia di silenzio del tuo dolore. Ma un ossessivo alito di morte, e tutti i crisantemi, cercati per te nel mondo, una sera di novembre non basteranno: forse solo le stelle gelide verdi remote che ti fanno compagnia, ti sostengono, nell’eternità della poesia.
ennebi
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