Che cosa ha potuto spingere Emily Dickinson all’età di 23 anni a chiudersi nel silenzio della sua casa? Paura di apparire, bisogno di isolarsi? Oggi avrebbero un nome preciso, ma che importa… Molte le ipotesi ma nessuna confermata: amori infelici, una passione diversa dalle altre; crisi religiosa o di nervi, incapacità di comunicare col mondo esterno, una follia ben celata. Cos’altro? Il richiamo del silenzio, una propensione alla solitudine, una tendenza alla meditazione: pretesti ed occasioni per ben 1775 poesie, che nel 1858 cominciò a ricopiare in bella copia sui suoi quaderni. Un’ autosegregazione che le fa arrivare il necessario dalla porta socchiusa della sua camera, o tuttalpiù dal piccolo giardino interno. Se mi sento fisicamente come se mi scoperchiassero la testa, so che quella è poesia. È l’unico modo che ho di conoscerla. Ce ne sono altri? E noi, riusciremo a entrare nella sua poesia, a penetrare il suo animo per conoscerlo? A volte conoscere è inutile, l’importante è sentire, entrare in contatto, mettersi in ascolto. Così ci arriveranno tutte le paure di cui Emily viveva, le allucinazioni del silenzio: Io sono nessuno. Tu chi sei? Che fastidio essere qualcuno! I conflitti mai sanati: Restai insaziata tutti i miei anni… Il troppo mi urta - è così insolito… Non mi riusciva di vivere nella confusione. Mi vergognavo del chiasso… Sarei forse più sola senza la mia solitudine… Penso che l’ora più lunga sia quella in cui aspetti la carrozza - quando il treno è arrivato… Io canto per consumare l’attesa… Struggenti i versi della poesia perenne che è stata la vita/prigione di questa poetessa in simbiosi con la natura dalla quale, tuttavia, rifuggiva senza provare mai il desiderio di viaggiare, di oltrepassare prigioni smisurate: Non vidi mai una brughiera/ non vidi mai il mare/ ma so che aspetto ha l’erica/ e che cos’è un’onda... Portami il tramonto in una tazza/ conta le anfore del mattino/ le gocce di rugiada./ E chi gettò i ponti dell’arcobaleno…/ Chi costruì questa casetta bianca e chiuse così bene le finestre/ che non riesco a vedere fuori./ Chi mi farà uscire con quanto mi occorre/ in un giorno di festa/ per volare via - in pompa magna. Emily, sposa della sua solitudine, fa poesia della sua vita e della sua morte: Lessi la mia condanna - risoluta… Non mi sono mai sentita a casa quaggiù… All’amato critico Higginson disse di non avere padroni ma nel 1863 scrisse: La mia vita era rimasta come un fucile carico, fino al giorno in cui passò di lì il padrone - in un angolo/ mi riconobbe - e mi portò con sé… Anche se potessi vivere più a lungo, lui deve sopravvivermi - perché, io ho solo il potere di uccidere ma non quello di morire. Emily. Morta per la bellezza, nel paradiso terreno della sua poesia, nell’ossessione dell’amore, nel rumore dei suoi silenzi. I poeti non accendono che lampade - si spengono per loro i lucignoli che hanno attizzato. No. Emily, la tua luce si spande ancora. E la bellezza, come ben sai, è immortale.
ennebi
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