Ho acquistato il libro Le assaggiatrici, Feltrinelli, 2018, per tre motivi. Il titolo accattivante, l’aver vinto la sua autrice, Rosella Postorino, il premio Campiello, e il suo essere di origini calabresi. Un po' di campanilismo, ogni tanto, non guasta, vero, amici miei? L’autrice è nata, infatti, a Reggio Calabria, anche se da anni vive a Roma e scrive con successo. Fatto sta che con questo libro ho imparato ad apprezzarla: mi è piaciuto così tanto da leggerlo avidamente in poco tempo.
La Postorino, nelle note, racconta di essersi imbattuta in un trafiletto a proposito di Margot Wölk, l’ultima “assaggiatrice” di Hitler, che, a novantasei anni suonati, raccontava in pubblico, finalmente, la sua singolare esperienza. Quando riuscì a trovare il suo indirizzo per chiederle un incontro a Berlino, la signora era già morta. Da quel vuoto pieno di curiosità è nata così la sua storia su Rosa Sauer, immaginata, ma ben supportata da un affidabile impianto storico.
A parte la sorellanza che si crea fra le colleghe, Rosa finirà per legarsi al suo aguzzino (felice ritorno di una sindrome di Stoccolma ai tempi del nazismo già raccontata in Suite francese di Irène Némirovsky), il tenente Ziegler, degno rappresentante di un Führer che pur rimanendo nell’ombra, sai bene che c’è, eccome! Mangia tutto quello che Rosa e le compagne di lavoro assaggiatrici appunto assaggiano. Perfino la banalità del male. Che anche il lettore riesce ad avvertire sul palato. Quel retrogusto di amarezza che ti lascia impotente. Il tenente non fa altro che obbedire e far obbedire, ma alla fine non resiste a Rosa.
Lo gusti fino in fondo, questo romanzo, lentamente ti fa penetrare nelle terribili paure che solo la fame sconfigge, nei vani rimorsi che superano la complicità inconsapevole di salvaguardare un mostro che, in carne, nemmeno si incontra. Le assaggiatrici sembrano essere l’ultimo anello della catena ma ne rappresentano il lucchetto. Sono necessarie affinché lui sopravviva. Che muoia una semplice assaggiatrice cosa vuoi che sia, è poca cosa per il mondo, ma lui, lui deve vivere per dominarlo, il mondo.
L’amore è l’unico spiraglio in questo mondo di orrori e soprusi.
Albert mi tirò dentro, richiuse, mi abbracciò dolcemente, poi con forza. Si era spaventato. Non per sé – di cosa poteva aver paura lui? – ma per me. Non voleva che soffrissi a causa della nostra relazione, non voleva che soffrissi e basta. Lo strinsi, desideravo prendermi cura di lui, dimostrarglielo. In quell’istante pensai che il nostro amore fosse degno, che non valesse meno degli altri, di qualunque altro sentimento avesse asilo sulla Terra, che non ci fosse nulla di sbagliato, di riprovevole, se abbracciandolo ricominciavo a respirare.
ennebi
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