Si è appena celebrato il duecentesimo anniversario di Frankenstein, scritto per sfida, durante la piovosa estate del 1816 e considerato il capolavoro di una giovane Mary Shelley. Ultimamente, però, si sono rivalutati altri scritti dell’autrice fra cui Matilda, 2005, Marsilio, che ho letto di recente su suggerimento di Maria Serena Sapegno, Figlie del padre, 2018, Feltrinelli, opera che la studiosa romana considera un tentativo incompleto di liberazione. Eh, sì. Il rapporto con il padre, il famoso filosofo William Godwin, fu piuttosto controverso dopo che Mary ne ripudiò il cognome preferendogli quello di Percy B. Shelley, che riuscì a sposare dopo la morte della sua prima moglie (abbandonata dal poeta incinta del secondo figlio). La madre, Mary Wollstonecraft, a pochi giorni dal parto muore e il padre si risposa con Mrs. Clairmont, con cui Mary non avrà mai un buon rapporto tanto da essere allontanata da casa. Passa giornate intere sulla tomba materna dove mangia, legge, dorme. Conosce il poeta romantico (che frequentava il circolo di Godwin) e scappa con lui: ha solo diciassette anni ma anche tutto il coraggio della madre, pioniera femminista. La sua vita è costellata di suicidi, lutti, sofferenza. Si tolgono la vita la moglie di Percy, e la sua sorellastra Fanny. Percy la tradisce con tante, fra cui Claire, Emilia Viviani e Jane Williams (con il marito di quest’ultima, Edward, lui morirà nel golfo di La Spezia). Anche Mary sentirà delle attrazioni corrisposte e, vedova, sarà richiesta da altri uomini, ma non si risposerà mai. La perdita dei figli Clara e William, e, già all’inizio, anche un parto prematuro, la deprimono; la morte del marito la spinge invece a guadagnarsi da vivere scrivendo, abbracciando la tesi materna che si scontra con l’opinione corrente: le donne sono viste incapaci di fare alcunché da sole. Con Matilda affronta un tema caro al romanticismo: l’incesto. Il quale viene però rielaborato, secondo un’originale versione personale, in tema femminista come conflitto col potere patriarcale, repressivo da tutti i punti di vista, da quello sessuale all’intellettuale. Difficile staccarsi dal peso della tradizione ma Mary ha idee sue che collidono con quelle del padre, del marito e dei romantici. Lo dimostra sperimentandosi. Così come in Frankenstein, anche in Matilda Mary riesce a dare voce ad un dolore oscuro e irrimediabile (era innamorata della morte…) nel quale si mescolano voci di donne mitiche che, come intuisce Mirella Billi nell’introduzione dell’opera, partono tutte da quella materna. Una voce femminile rivoluzionaria che ci avvolge e ci sorprende con la sua carica drammatica, emotiva, sentimentale: Non avevo idea che tanta infelicità potesse nascere dall’amore.
ennebi
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