Di Anna Maria Ortese ho letto, in tempi diversi, Il mare non bagna Napoli e L’Iguana, due libri che mi hanno preso molto ma per motivi diversi.
Il primo, giudicato, come l’autrice dichiara con suo grande rammarico, un libro “contro Napoli”, le costò la lontananza per quarant’anni dalla città. Questo libro, frutto prezioso della nevrosi metafisica (di cui l’autrice si fa carico), dell’incomprensibilità della realtà e dell’allucinazione della scrittura, identifica lo spaesamento con Napoli fino a trasfigurare in parole la città con il male di vivere. Mi accostai alla finestra di quella casa ch'era alta come una torre, e guardai tutta Napoli: nella immensa luce, delicata come quella di una conchiglia, dalle verdi colline del Vomero e di Capodimonte fino alla punta scura di Posillipo, era un solo sonno, una meraviglia senza coscienza.
Nel secondo (con un’intervista dell’autrice a Dario Bellezza, nella quale confessa di non essere mai stata, se non una sola volta, a teatro o in un museo), con un linguaggio simile ad un labirinto da attraversare, la Ortese ci prende per mano e ci conduce, incantandoci, in una storia talmente irreale da diventare reale. Un confronto/scontro tra bene e male, un ritorno al paradiso perduto in cui il volo di una farfalla ridà speranza all'amore che prevale sulla morte. Non ci sono iguane ma solo travestimenti.
Ed eccoci al 1967, l’anno in cui la Ortese vince il premio Strega con Poveri e semplici, coì diverso dai due precedenti da sembrare scritto da un’altra mano. Infatti, è qui che si complicano le cose, o, meglio, si semplificano, perché scrive: mi premeva raccontare la breve storia di una fede. Ho rinunciato, per farlo, a una scrittura consapevole, esigente. Un esperimento anche il mio. Ci vuole un po' di coraggio, oggi a parlar di sentimenti. C’è da sprofondare lo sento. Ma tutte le altre vie le sento perdute. Pensare è terribile: è come attaccarsi a un pozzo dove non si vede più niente.
La protagonista racconta in prima persona le sue vicissitudini fino… alla vittoria di un premio letterario! La purezza dei sentimenti, il candore della speranza sono disarmanti. Invece in superficie, tutto è lieto, risponde. Ci sono le cose che aiutano, anche la miseria, il breve piangere, Dio. Il mondo è pieno di persone, come è pieno di passeri. Dove nascono non si sa, né di cosa vivono, né dove vanno a morire. Ma ci sono, forse va avanti per questo.
La Ortese è già la scrittrice delle piccole persone, gli animali, degli interrogativi filosofici, del dolore metafisico che ci fa essere figli delle stelle. La visionaria che accarezza la solitudine dell’anima e che ha fede nella compassione universale.
ennebi
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