Ogni tanto sento il bisogno di tornare a libri già letti - insomma, che lasciano il segno. In questi giorni è il caso de L’amante di Marguerite Duras (Saigon 1914-Parigi 1996). Forte, sofferto l’approccio al sesso della bambina bianca in un contesto familiare precario da tutti i punti di vista. Un’adolescenza chiara e confusa al contempo. Un viaggio nel piacere/dispiacere, nell'incoscienza/coscienza ma alla fine, sostanzialmente, nella solitudine. I libri più belli che ho letto, come questo, nascono - chissà perché - dall'amore/odio dei legami familiari. Libri come questo sono fatti di parole che covano nel silenzio per molto tempo e poi, all'improvviso, sgorgano nel deserto dell’anima simili a un getto d’acqua rigenerante. Il fiume Mekong scorre tra i frammenti di una storia d’amore e di sesso intensa e sofferta, subita e vissuta. Scava fino in fondo all'abisso fino ad illuminarne parti oscure: la madre, i fratelli, la gente che guarda e sa. Un’infanzia tradita, fuggita, nascosta che irrompe all’improvviso nel 1984, dopo circa mezzo secolo.
La libertà è sempre alimentata dall'imposizione del “dovere essere”: che sia morale o immorale chi può deciderlo? Per la Duras consegnare al mondo il suo io/bambina non significa tentare di riabilitarsi agli occhi del mondo né di se stessa - non ne ha bisogno - ma semplicemente dire: questa sono stata, questa sono io. Libertà è coraggio di ritrovarsi: nella scrittura, senza ostentare nessuna bandiera ma denudandosi. L’amante è colei che ha amato e che ama. Per sempre.
“È scesa la sera attraverso le persiane. Il frastuono diventa più forte, più acuto, meno sordo. Si sono accese le lampade dalla luce rossastra. Siamo usciti dalla garçonnière. Mi sono rimessa il cappello da uomo con il nastro nero, le scarpe d’oro, il rossetto scuro sulle labbra, il vestito di seta. A un tratto mi sento invecchiata. Lui lo vede, dice: sei stanca”.
ennebi
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