In questi giorni mi ha fatto buona compagnia una eccellente rappresentante del romanzo storico - Maria Bellonci (1902-1986) - con Tu vipera gentile e Rinascimento privato. Ma non solo con la carta stampata. Sono ricorsa alle immagini di un vecchio sceneggiato Rai, Delitto di stato (il primo racconto di Tu vipera gentile) con Sergio Fantoni, e alla lettura di Elisabetta Piccolomini di una riduzione di Rinascimento privato in Ad alta voce su Radio Tre.
In entrambe le opere i luoghi di elezione della nostra autrice sono “le corti” di Mantova, ma in periodi ben distanti tra di loro; il filone è quello storico-psicologico romanzato che privilegia l’analisi del potere.
Il delitto avviene presso la corte di Mantova nel 1630, nel pieno di una ben nota epidemia di peste: di questi tempi, grazie al corona-virus, guardiamo a quei tempi con spirito confacente. In Rinascimento, l’affresco, che l’io narrante dipinge col filo della memoria, parte dal 1533 per retrocedere fino ai primi del Cinquecento. Nel primo contesto le figure femminili di rilievo sono due: la cantatrice Flaminia, giovane amante del duca Vincenzo II, e la governante Osanna, matura amante del conte Striggi, cancelliere del duca. Nel secondo, invece, la prima donna è solo una, Isabella d’Este, ormai cinquantenne, che nella Stanza degli orologi del Palazzo Ducale viaggia a ritroso nella sua vita: fin da quando, a sedici anni sposerà il duca di Mantova Francesco Gonzaga (da lei amato anche quando lui la tradirà con la famigerata cognata, Lucrezia Borgia) dal quale avrà quattro figlie. Da spettatrice, diventerà protagonista delle vicende politiche sapientemente narrate dalla Bellonci: a causa della prigionia, della malattia e, infine, della morte del marito, si farà carico della reggenza dello stato e, tra l’altro, accrescerà la sua fama di amante della cultura. Appassionata di ogni forma d’arte, rafforzerà i suoi rapporti con gli spiriti più nobili del tempo: da Machiavelli a Manuzio, da Mantegna a Giulio Romano, Raffaello, Leonardo, etc. Ma i lettori, attraverso i suoi occhi, scopriranno di tutto: il sacco di Roma, il nepotismo, i contratti matrimoniali, la costituzione di leghe, alleanze e congiure, la lotta cruenta fra spagnoli e francesi per il predominio sulla penisola, la diffusione della Riforma. In un caleidoscopico girare di volti, nomi, intrighi, la fastosa vita di corte rinascimentale fa tutt’uno con la storia personale della marchesana di Mantova, considerata dall’imperatore Carlo V la sola grande donna che sia in Italia.
La documentazione storica sorregge la scrittura elegante, l’estro narrativo ci insinua nello scorrere dei giorni e degli anni, fin nei pensieri segreti, nei retroscena nascosti ai più. Isabella, volitiva e affascinante, ma donna dai mille tormenti, viene confortata dalle lettere - riconoscibili dai caratteri appuntiti - dell’unico personaggio inventato, il prelato inglese Robert de la Pole, vittima di un colpo di fulmine dopo la sua unica visita a corte. Un carteggio a senso unico, in quanto lei non risponderà mai, se non con i moti dell’anima, della mente e del cuore, alle dodici lettere che scandiscono, a lunghi intervalli, la passione devota dell’anglico per la sua adorata padrona e signora. Robert e Isabella si sfioreranno senza mai incontrarsi. Non ne avranno bisogno.
Non è stata facile l’impresa: ricostruire la personalità di Isabella d’Este e dipingere il mondo che le ruota intorno. Maria Bellonci ci è riuscita in pieno. Anni di ricerca negli archivi, di studio, di immersione totale nello spirito del Rinascimento.
La Stanza degli orologi diventa il simbolo della dimensione femminile: Il mio segreto è una memoria che agisce a volte per terribilità. […] Qui, ai battiti di questi orologi perfetti o imperfetti, percepisco il ritmo dell’universo come un fluire ininterrotto: ho la prova che posso fidarmi delle immutabili costellazioni derivando da esse orientamenti e moti. […] Per causa naturale gli spiriti discordanti si contraddicono l’uno con l’altro; non in questa stanza degli orologi, però, dove sembrano cercarsi per creare una specie di tregua universale sulla misura del tempo. […] Molti fra quanti congegni mi circondano hanno scandito i minuti della rovente solitudine che cadde su di me quel giorno di neve alta. […] Scattano i rintocchi degli orologi diversi di tono e di tempo e i candelabri si spengono allo spegnersi dei suoni. Raduno i fogli coperti dai caratteri appuntiti e li ripiego col gesto che si ha per le cose da rinchiudere non si sa per quanto o per sempre.
Un romanzo che ci fa intravedere, dietro l’amore per la cultura e per l’arte, qualcosa di più: ciò che di solito non compete a una donna. Mi si è fatto intendere in tutti i modi che l’ingegno è una condanna per una donna e si deve pagar caro. Di certo per questo… ero delusa quando mi nascevano femmine: non perché le amassi poco, secondo l’accusa di Francesco, ma perché avevo paura e quasi ribrezzo del gran patir che le aspettava a meno che non riuscissero a contare fra le prime donne del mondo. Quelle creature fragili mettevano in dubbio i miei privilegi e mi sentivo minacciata dalla loro condizione futura e dalla infelicità di sottomissione che le avrebbe colpite come tutte le altre.
Maria Bellonci vien menzionata spesso per avere istituito, col marito, lo storico Goffredo, e con gli Amici della domenica, il Premio Strega - che lei stessa vincerà col suo “secolo d’oro privato” nel 1985 -, ma assai di meno per la sua attività di scrittrice. Un vero peccato.
ennebi
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