Rieccomi!
Il libro che mi ha risucchiato ultimamente è Amatissima, di Toni Morrison. Questa autrice di colore, già editor per la Random House di New York, docente in seguito di Letteratura inglese e Scrittura creativa presso varie università, nata nel 1931, è morta da poco (agosto 2019). Nel 1988 ha ottenuto il premio Pulitzer e, udite udite, nel 1993 il Nobel per la letteratura; nel 2012 il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, le consegna la prestigiosissima Presidential Medal of Freedom. Nel 1987 scrive Beloved ed è di questa storia che voglio parlarvi, visto che si avvicina il 25 novembre e di violenza sulle donne si tratta.
Da bambina ho letto La capanna dello zio Tom e da adulta Radici, la storia di Kunta Kinte, ma non avevo mai provato a vedere sentire toccare la schiavitù attraverso la schiena di una donna, che diventa un albero di ciliegie a furia di frustate. Che devo dire se, ogni volta che mi tagliuzzo un dito in cucina, mi viene in mente la carne maciullata dalle frustate di uomini che sapevano che la loro virilità risiedeva nei fucili? 0 quando penso che i bianchi credevano che, qualunque fosse il livello di educazione, sotto ogni pelle scura si nascondesse una jungla? Ma la jungla che cresce a dismisura era/è quella che i bianchi hanno/avevano piantato dentro di sé. Una lettura tormentata, convulsa, quella di Amatissima, non solo per i temi ma anche per la discontinuità dei ricordi della ex schiava Sethe che decide di scappare, da sola, da Swett Home con i suoi quattro figli e arriva in un posto dove uno poteva amare tutto quello che voleva - senza dovere chiedere il permesso di desiderarla - be’, ecco, quella sì che era libertà.
Toni Morrison dedica questo libro ai dieci/quindici milioni di schiavi che vennero deportati dai primi del XVI alla fine del XIX secolo nelle Americhe. Libro strano a primo acchito, questo romanzo che parla di una casa, al 124 di Bluestone Road, infestata dal fantasma di una bambina (uccisa dalla sua mamma per evitare che la figlia diventasse a sua volta schiava così come lo era stata lei) che non sopportando di essere morta si fa sentire prima come spirito arrabbiato per poi riapparire in carne e ossa. Piuttosto morta, decide Sethe. E io mi domando: una madre può arrivare a tanto?
Un libro doloroso come può esserlo il cuore di una schiava che si apre e racconta la propria storia: e quel dolore straripa da ogni pagina, da ogni rigo. Un libro che parla di una fame ancora più grande della fame di cibo: la fame di colori di Baby Sugss.
Una trama frammentaria così come è a brandelli l’identità di chi, l’identità, l’ha perduta. La memoria del tormento non può essere una linea temporale con un inizio e una fine, no: deve contorcersi. La memoria raccoglie i cocci di volti, di voci: gente dai colli spezzati, del sangue cotto sul fuoco e delle ragazze nere che avevano perduto il nastrino. Toni Morrison ce la racconta, questa storia di latte e di sangue, di possesso, d’amore e di schiavitù dell’amore, di una madre e di una figlia, prendendo spunto da una storia vera. E la scrive con la sua penna, che incide peggio della frusta.
It was not a story to pass on. Una storia che non poteva non essere raccontata, che non poteva restare ignorata.
ennebi
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