Aprile è stato piuttosto avaro di sole e, per questo, ho sentito il desiderio di immergermi nuovamente nel tepore di un romanzo di Elisabeth von Armin e nel piacere del film che ne è stato tratto nel 1994.
Mary Annette Beauchamp (il suo vero nome, 1866-1941), nata in Australia e vissuta in giro per il mondo, tra Inghilterra, Svizzera, Francia e Stati Uniti, era cugina dell’irrequieta scrittrice Katerine Mansfield (della quale parlo nella Fabula Rasa/43 ) e amica degli scrittori Forster, Wells e Walpole - con quest’ultimo ebbe una relazione.
Nonostante cinque figli e due matrimoni (entrambi i mariti, noti aristocratici: il primo, figlio adottivo di Cosima Wagner, e, il secondo, fratello di Bertrand Russel), Elisabeth non trovò la felicità, che cercò, quindi, nella scrittura.
I suoi romanzi diventano rifugio, fuga dalla realtà: luoghi isolati, pieni di fiori, con paesaggi mozzafiato, castelli, conventi, chalet di montagna, fattorie, dimore di campagna, giardini. Nessuna trama avvincente, ma il susseguirsi di stati d’animo in nascenti amicizie fra donne che, dopo apparenti rivalità e contrasti, arrivano alla solidarietà. Ingrediente fondamentale, tuttavia, è l’arrivo di un uomo, o di più uomini, che irrompe, a sorpresa, sulla scena.
Nei suoi libri, quasi tutti autobiografici, la donna rifugge sempre qualcosa o qualcuno: in Vera, il matrimonio prigione e l’uomo ingannatore, ne Il giardino di Elisabeth (primo romanzo della von Armin) l’uomo della collera (il primo marito).
In Un’estate in montagna la protagonista afferma: […] sono stata spogliata di tutto ciò che rendeva la vita incantevole; ma, appunto, in Un incantevole aprile, ambientato in Italia, dove tutto comincia da un incantevole annuncio sul The Times (“Per gli amanti del glicine e del sole. Piccolo castello medievale italiano sulle coste del Mediterraneo affittasi ammobiliato per il mese di aprile.”) viene fuori tutta l’ironia e l’abilità dell’autrice a entrare nel cuore delle sue eroine, a tracciarne il profilo psicologico. É qui che Mary Annette recupera l’incanto perduto. Sì, perché il suo stile è delicato, elegante, ma anche arguto e tagliente. Le quattro protagoniste sono donne che, come lei, vogliono e decidono di evadere dal quotidiano. L’una perché insoddisfatta del matrimonio, l’altra perché non regge più al vuoto della mondanità o della solitudine e della vecchiaia.
Può un viaggio, un tuffo nella bellezza di un paesaggio, di un castello medievale, sanare i malesseri di una condizione femminile così segnata? può dare voce ai piaceri e ai desideri repressi? cancellare i sensi di colpa? Siamo state troppo buone… davvero toppo buone.
Eccole, le nostre amiche! Due casalinghe, lontane dai punti cardinali della loro esistenza: Dio, Marito, Casa e Dovere; la maliarda, non più soffocata nei salotti e dagli ammiratori; e l’anziana del gruppo, che ha abbandonato la sua austera casa londinese, nella quale viveva in compagnia di scrittori morti. Donne che, come l’autrice, cercano l’indipendenza, la libertà. Non ancora felici, certo, ma la felicità sta lì, a portata di mano.
Per anni era riuscita a essere felice solo dimenticando la felicità, e voleva continuare. Voleva tenere lontano tutto quel che le aveva ricordato la bellezza, che l’avrebbe di nuovo indotta a desiderare, ad anelare …
L’incanto sconfigge il disincanto. La femminilità rifiorisce tra i profumi del glicine e delle acacie, grazie alla magia del mare e del sole.
A volte, le donne non si accorgono che la bellezza è proprio lì, qui, intorno a noi, dentro di noi. Basta cercarla.
ennebi
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