Vittoria Colonna (1490-1547), figlia del celebre Fabrizio e della duchessa d’Urbino, fu data in sposa al marchese di Pescara, Francesco Ferrante d’Avalos, capitano generale dell’esercito spagnolo in Italia, ma, appena dopo tre anni di matrimonio, la solitudine fece da padrona nella sua vita (Tu vivi lieto e non hai doglia alcuna, / chè pensando di fama il nuovo acquisto, / non curi farmi del tuo amor digiuna. / Ma io con volto disdegnoso e tristo / serbo il tuo letto, / tenendo con la speme il doler misto, / e col vostro gioir tempro il mio duolo), trasformandosi, nel tempo, in alta spiritualità, accesa sensibilità, intenso misticismo. Dopo la morte del marito, nella battaglia di Pavia, infatti, Vittoria si dedicò in maniera esclusiva alla pratica religiosa e alla poesia. Fu apprezzata dal Bembo e dall’Ariosto ma, forse, la consolò un poco l’amicizia con quel genio di un Michelangelo (che le dedicò una serie di rime spirituali), col quale condivise trasalimenti poetici, anche se continuò la vita monacale in giro per conventi.
Incarnando il ruolo della perfetta gentildonna, non solo bella e colta, ma equilibrata e devota (morta però in odore di eresia), ha finito per influenzare l’immaginario letterario su Michelangelo. Sviluppato da Vittoria il concetto della volontà di elevazione con l’immagine dell’uccellino che è ansioso di seguire la madre spiccando il volo, sembrerebbe che all’ottimo artista, a questo punto, non resti altro da fare se non ciò che ha scritto: […] il mal ch’io fuggo, e ‘l ben che mi prometto / in te, donna leggiadra, altera e diva / tal si nasconde e perch’io più non viva / contraria ho l’arte al disiato effetto. L’ineguagliabile scultore, capace di estrarre dal marmo opere immortali, riconosce il suo basso ingegno nell’incapacità di estrarre dalla donna amata il bene che si trova dentro di lei. L’amore è come un’opera d’arte, risultato di un’intuizione mentale (idea neoplatonica), ma se l’artista continua ad ardere, traendo a sé, non amore, ma sofferenza e morte, allora non è solo incapace come artista, ma soprattutto come amante.
Innovativa rispetto ai modelli del petrarchismo classico, che sostituì con un suo petrarchismo sacro, mistico, la poetessa - senti senti! - per manifestare la sua devozione a Dio attinse addirittura ai motivi della poesia amorosa: Sovra del mio mortal, leggera e sola / aprendo intorno l’aere spesso e nero / con le ali del desio l’alma a quel vero / Sol, che più l’arde, sovente vola. Il volo dell’anima le permette di abbandonare la pesantezza del corpo: Dio è il Sol celeste che può sostituire il sol terreno. Del resto, cosa aspettarsi da una donna che era stata promessa in sposa già a quattro anni, per la machiavellica ragion di stato? Vittoria, accecata dall’amore o dall’immagine ossessiva e personificata di un novello Orlando, non ebbe occhi che per il marito, vivo o morto. Scrivo sol per sfogar l’interna doglia, / di che pasce il cor, ch’altro non vole, / e non per giunger lume al mio bel sole, / che lasciò in terra sì onorata spoglia.
Nell’introvabile cortometraggio Festina lente - dal nome del marchio tipografico Aldo Manuzio, i cui manoscritti venivano custoditi nella biblioteca della poetessa - la regista omonima, Lucilla Colonna, dipinge una Vittoria protagonista femminile del Rinascimento Italiano come donna indipendente e pacata “femminista”, che considera la scrittura mezzo di comunicazione e la sua penna strumento necessario per diffonderla. Ma già Sebastiano del Piombo ci ha lasciato di Vittoria due famosi ritratti: in uno, come Artemisia II di Grecia, la poetessa beve le ceneri del marito per tenerlo sempre con sé, nell’altro, pone la mano destra sul cuore e la sinistra su un libro di poesie. Ovunque giro gli occhi o fermo il cor…
Queste due parti, donna e poetessa, ce la rendono, ancora oggi, unica.
ennebi