“Sulla morbida sabbia / lambita dal mare / la sua piccola orma / non torna più… / Te ne vai / con la tua solitudine, Alfonsina / che poesie nuove / andasti a cercare? / Una voce antica / di vento e di sale / ti blandisce l’anima / e la guida / e tu vai fin là / come in un sogno / addormentata, Alfonsina / vestita di mare”.
Sono questi i versi di una canzone che venne dedicata ad Alfonsina Storni in Argentina e cantata in Italia da Eugenio Bennato. Poetessa di origini ticinesi (1892-1938), si trasferì con la famiglia prima a Rosario, dove fece di tutto, dalla cameriera alla sarta, dall’attrice all’operaia, e poi, da sola, a Buenos Aires: Tristi strade dritte, ingrigite ed uguali / dalle quali si intravede, talvolta, uno spicchio di cielo / e sue scure facciate e l‘asfalto del suolo / hanno spento i miei tiepidi sogni giovanili. Diventata maestra a vent’anni, ma anche ragazza madre, Alfonsina combatte contro gli stereotipi sociali e maschilisti. "L’inquietudine del roseto” - dal titolo della sua prima raccolta - le rimarrà sempre dentro , ma scrivere versi comincia a dare un significato alla sua vita.
Un giglio mi vorresti / Serrata la corolla / Non un raggio di luna / Penetrato mi abbia / tu che tutte le coppe in mano hai avuto / Non so tuttavia / Per quale miracolo / Mi pretendi candida…
Si definiva “una donna del XX secolo”, ma era molto di più. Vera artista della parola: Allora parlo per sentire che esisto, / perché se non parlassi la mia lingua si paralizzerebbe, / il mio cuore smetterebbe di palpitare / tutta mi disseccherei abbagliata. Un’artista piena di talento, passione, militante socialista, regista teatrale, drammaturga, giornalista, avanguardista, insegnante di letteratura, saggista ma ossessionata dal “presentimento”. Ho il presentimento che vivrò molto poco / Questa mia testa somiglia a un crogiuolo…
Nel 1935 arriva un tumore al seno, ma lei - già provata dal successo - dopo il suicidio dell'amico Horacio Quiroga realizza il suo sogno: raggiungere la casa che ha sempre desiderato. In fondo al mare / c’è una casa di cristallo. / a una strada di madreperle conduce / dormo in un letto / un poco più azzurro del mare.
Il 25 ottobre del 1938, dopo aver scritto, in un piccolo hotel a Mar de Plata, i versi di commiato di Vado a dormire, Alfonsina dalla spiaggia La Perla si tuffa in acqua per non tornare mai più.
Vado a dormire, o mia nutrice, cullami / ponimi una lucerna al capezzale, una costellazione… Lasciami sola. / Grazie. Ah un incarico/ se lui chiama di nuovo per telefono / digli che non insista, sono andata.
Ma cosa è successo dopo la sua morte? Molto di più di quello che la poetessa immaginava.
Il giorno in cui morirò / la notizia seguirà le solite procedure / da un ufficio all’altro con precisione / dentro ogni registro verrò cercata / E là, molto lontano, in un paesino / che sta dormendo al sole su in montagna, / sopra il mio nome, in un vecchio registro, / mano che ignoro traccerà una riga.
Alfonsina, il tuo nome è ancora vivo.
ennebi
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