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FABULA RASA / 66 L'inferno di Arcangela

Anche se la letteratura  ce ne ha lasciate tracce indimenticabili - chi non ricorda la storia struggente di Maria, la capinera di Verga, e quella, scandalosa, di Gertrude, la monaca di Monza del Manzoni? - leggere una testimonianza diretta come l’Inferno monacale è tutt’altra cosa. Proprio quello che ha vissuto Elena Cassandra Tarabotti ovvero Suor Arcangela (1604-1652), monaca e scrittrice veneziana. Vi dedico dunque quel'Inferno, a cui perpetuamente condanate le vostre visere, per preludio di quello che dovete goder etterno, restando di voi, Scandalizzata sempre, più che Angela della Madre della Donzella

Fu autrice di numerose opere, alcune purtroppo andate perdute, altre dai titoli più che eloquenti come La Semplicità Ingannata o La Tirannia paterna. Sì, di vera tirannia si trattava, di autentico inganno perpetrato a suo danno,  fanciulla innocente, da un padre che la considera "non da marito perché zoppa".  All’hora che la speranza è inaridita, s’avveggono esser prese alla rete, onde, con falsità di pretesti, deluse e derisse, son fatte perpetue servitrici di mille obligationi. Ma il monachesimo forzato non era solo costume veneziano, approvato dal governo, bensì italiano, e tanti, troppi uccellini ingenui finivano intrappolati fra tormenti e passioni atroci; per non parlare  dell’istruzione negata alle donne: Se quando nasce una figliuola al padre, / la ponesse col figlio a un’opra uguale / non saria nelle imprese alte e leggiadre / al frate inferior né disuguale; / o la ponesse fra l’armate squadre / seco o a imparar qualch'arte liberal / ma perché in altri affar viene allevata, / per l'educazion poco è stimata.

La mancata vocazione non dà diritto al Paradiso monacale, ma quante monache ne avevano avuto davvero una autentica? Destino segnato il convento, a cui non sfuggirono nemmeno le figlie, per giunta illegittime, del grande Galileo.

Ma suor Arcangela studia da autodidatta e scrive. La sua scrittura è arma di denuncia e di riscatto, anche se, per compensare una vita come la sua, ci vorrebbe ben altro: quarantotto anni, di cui ben trentasette vissuti fra le mura del convento nel quale fu rinchiusa, senza vocazione alcuna, fin da bambina.  Viene dal’avaritia degli huomeni consignata alle voracci fiame di quest’abisso di cui parlo, tall’una che non eccede l’anno nono di sua età onde non è poi maraviglia se, mentre così tenera e pura, resti ingannata e tradita e, per così dire, rimanga infelicemente legata dormendo. Nell’inferno personale di Elena non ci sono gironi danteschi ma un’unica condanna che abbrutisce l’anima. Già, ma avendola! Perché a leggere il trattato  anonimo Che le donne non siano della specie degli uomini, discorso piacevole tradotto da Horatio Plata Romano, le donne (che già nella Satira mennipea  di Francesco Buoninsegni pensano soltanto a imbellettarsi per peccare) sono considerate di specie inferiore. Insomma un manifesto  sessista in piena regola, a cui la monaca impertinente avrebbe risposto con spropositi riprendendo niente meno che passi dalle Sacre Scritture!

Per fortuna, lei ha la scrittura e  può difenderle, le donne, nella querelle de femmes. Elena ebbe scambi epistolari con diversi intellettuali e si creò una rete di conoscenze che faceva capo all’Accademia degli Incogniti, sua sostenitrice, malgrado le donne non potessero accedervi.

Perché Eva ha peccato? Eva non ha peccato: soltanto, essendo libera, ha pensato con la propria testa, e non come le donne del Seicento. E quelle del nostro tempo?

L’inferno monacale è stato pubblicato solo nel 1990. Spento dal coraggio delle donne.

ennebi

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Commenti: 1
  • #1

    Caterina (martedì, 13 giugno 2023 14:12)

    Interessante il personaggio! Fa riflettere sulla capacità di alcune donne di difendere la loro libertà anche vivendo confinate nei limiti fisici e spirituali di un convento.