Ha vissuto solo quarant’anni Maria Teresa di Lascia (1954-1994) ma le sono bastati per fondare – attivista del Partito Radicale di cui fu anche vicesegretaria e deputata – la Lega Internazionale Nessuno tocchi Caino per l’abolizione della pena di morte e per scrivere due racconti e tre romanzi. Il racconto Compleanno – l’altro è Veglia – vinse il premio “Millelire”; il primo dei romanzi, La coda della lucertola, non fu pubblicato, l’ultimo, Le relazioni sentimentali rimase incompiuto. L’unico in circolazione, soprattutto grazie a una recente ristampa dopo diversi anni, è Passaggio in ombra, una storia tutta al femminile che vinse il Premio Strega quando l’autrice non c’era già più.
«Mi porteranno via per queste strette scale dei palazzi moderni, e avranno un gran da fare per svuotare tutto il ciarpame che è stata la mia vita». Chiara, la protagonista depressa e sola, rievoca il tempo passato e le vicissitudini familiari, inseguita dai mille mostri atroci della sua fantasia che popolano la carta da parati a fiori beige che ricopre i muri – quella di Charlotte Perkins Gilman era gialla – e proiettano le loro ombre come in un grande cinema. «La malattia che ponendosi come limite alla mia integrità fisica – l’asma – ha scavato in me il tunnel della nevrosi, e a volte sbaragliando ogni fantasia rassicurante mi spinge alle soglie della psicosi, mi prese che ero ancora una bambina. Eccola: la bella pupa di pezza ma con l’occhio destro cieco. «Prigioniera della mia vita sono rimasta una creatura di confine… La stanza del divano dove mi dirigo per riavermi è avvolta nell’ombra stagnante delle imposte sempre chiuse». Tutto viene minuziosamente ricostruito, i fatti e i conflitti che le fanno ritrovare il destino al quale si è consegnata, dopo l’audacia, nel silenzio. Una vita sospesa. Una laurea in medicina mai conseguita nonostante l’appoggio della prozia che alimentava in tutti i sensi i propri sogni di gloria trasferendoli su di lei. «Ho ricevuto i soldi di donna Peppina per tutti gli anni dell’università, che sono stati quasi venti! […] Così mentre gli anni passavano e donna Peppina diceva piena di orgoglio “la dottoressa mia nipote frequenta il quarto anno di medicina”, io stessa pensavo che fosse vero e che due anni dopo avrei terminato il corso regolare di studi. Che non avessi fatto ancora nessun esame non turbava la mia coscienza e neanche la certezza che le cose dovessero andare in quel modo.». Donna Peppina non può che arrendersi. «Me l’hanno affascinata!». L’amore per il cugino Saverio, osteggiato dai parenti, che diventa ossessione. «Così torno al passato, e incontro la fanciulla che fui; la seguo mentre serba nel cuore la vanità immancabile di un amore eterno. […] Adesso che i giorni della mia passione mi affiancano con la consistenza della materia e dei corpi, io sussulto sotto la spinta di empiti che credevo sepolti per sempre, e nella mia mente accidiosa, si affacciano melodie mai ascoltate di ditirambi, e quella fascinazione dolorosa e inquietante della possessione amorosa». Un padre scomparso, poi ritrovato, che la riconosce come figlia, ma infine da lei ripudiato perchè abbandona la madre sull’altare per un’amante. La madre Anita: unica certezza. L’ostetrica forestiera che da sola cresce la figlia in un paese che mormora. «Mia madre e io abbiamo vissuto a lungo sole, innamorate l’una dell’altra senza rimedio». In un paese in cui solo i figli maschi contano. «“Voi non avete figli?” – “Solo femmine”…, rispose Gessano sospirando. “Ah!” Fece il sottosegretario condividendo il disappunto dell’altro».
E così, Chiara, piegata ormai alle oscurità che la occupano, pensa alle cose della sua vita di cui non riesce a rammentarsi, alle proprie colpe: «Io fui una bambina che nella grande prova dell’amore, non seppe raccogliere la sfida riconducendo a un’unica trama il destino dei propri amati». Una colpa terribile di cui spesso sentiamo il peso, inutilmente. Cosa può ricondurci al principio di realtà? Come superare lo sgretolamento interiore a cui ci condanniamo senza saperlo? «Perché le cose che devono accadere, ormai lo aveva capito con chiarezza, sono mescolate nel mondo senza un ordine preciso e si sfiorano fra loro, e con le altre cose dell’universo, fino a quando non giungono in prossimità di un punto di attrazione in cui possono compiersi». E anche la paura del futuro, perfino della morte scompaiono perché «Il futuro non è la morte perché non ha bisogno di assensi per compiersi. Ma questo tempo incompiuto che ci aspetta, inesorabilmente simile a noi: a ciò che siamo stati e a quello che non saremo».
Ma il silenzio può diventare favoloso e la salvezza incarnarsi nel passato quando la memoria illumina le ombre. L’ombra di Maria Teresa di Lascia è luminosa ancora oggi, a trent’anni esatti dalla sua morte (10 settembre 1994).
ennebi
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Mariolina Rocco (martedì, 10 settembre 2024 15:07)
Complimenti a Nuccia per la costanza e la passione con cui ci racconta storie di donne, la cui esistenza racchiude sempre qualcosa di straordinario.
Filly Berardi (martedì, 10 settembre 2024 19:03)
È sempre interessante leggere le pagine di vita che ci proponi.
Con il tuo personale modo di scrivere, ci fai conoscere ancora una volta, una storia dalla quale emergono la sensibilità, la generosità, la fragilità, ma soprattutto il coraggio della protagonista. Complimenti
Nuccia Benvenuto (martedì, 10 settembre 2024 20:19)
Grazie a voi, mie fedeli e care lettrici!
Laura Cima (mercoledì, 11 settembre 2024 06:13)
Grande amica, che nostalgia
Grazia (mercoledì, 11 settembre 2024 17:45)
Grazie Professoressa perché mi permette di conoscere personaggi sempre diversi e storici non indifferenti per la loro vita ed il loro coraggio.