Luigina Bernocco (1922-2005), fine intellettuale, scrittrice e saggista nota come Gina Lagorio, portò a compimento il suo processo di emancipazione femminile non solo nella scrittura e nella politica (fu deputata nella sinistra indipendente dal 1987 al 1992), ma soprattutto come donna, moglie e madre perché riuscì a conciliare le contraddizioni che le donne erano/sono costrette a subire. Mi rendo conto ora che l’isolamento in cui sono vissuta mi ha aiutato a custodire quella maniera di sentire e di esprimermi, con ingenuità forse, da parte mia, ma con molta pazienza e attenzione al concreto. La provincia mi ha protetto nella ricerca di una sia pur modesta autenticità: sono nati in quella nicchia quieta e viva i miei (primi) romanzi. Scrisse tanto, la Lagorio: letteratura per ragazzi, saggi, teatro, romanzi. Si batté per i diritti delle donne e visse con passione e impegno civile la sua vita. Narrò della figlia nel suo primo scritto e, nel successivo, della malattia che portò alla morte il marito di cui mantenne il nome. Si risposò con Livio Garzanti. Si portò nel cuore il Piemonte e la Liguria, anche dopo il trasferimento a Milano, con Pavese, Sbarbaro, Fenoglio e Barile. Pluripremiata, oggi, a dopo poco più di cent’anni dalla nascita, a parte una targa in suo onore a Bra, è pressoché sconosciuta. Eppure collaborò a riviste, giornali, rubriche televisive – Singolare femminile e Parlare al femminile – sceneggiature, libretti operistici.
Delinea tre figure di donne, la Lagorio: la bella Angela de La spiaggia del lupo, Elena, attrice sul viale del tramonto in Fuori scena e la donna della solitudine, in Tosca dei gatti.
La spiaggia del lupo è un inno coraggioso alla libertà di essere donna fino in fondo: di accettare la solitudine, il piacere, l’amore, la maternità, da sola. In autonomia. Era padrona di sé, del suo corpo e del figlio che portava. Libera da ogni vincolo, la bella Angela è la ragazza selvaggia, bella senza essere bella, capace di stare zitta e ascoltare, di pensare e di amare se stessa. In simbiosi con la sua spiaggia, il mare, il cielo, i gabbiani: Bastava saperlo, che un gabbiano l’aveva riconosciuta, tra gli esseri vivi, non estranea al mare e al cielo.
Elena, invece, frutto della maturità, è una donna che ritorna alle sue radici, al paese natio, al primo amore. Ritorna alla grande scena – dalla quale era uscita per la piccola – ritrovando se stessa, sua figlia, lasciando il giovane amante, esercitando una forza interiore che diventa conquista di sé nella tempesta della crisi di identità che riuscirà a governare. Lei, che era scappata via dalla provincia per fare l’attrice, cosa di quei tempi scandalosa, recupera la sua autentica voce. Le colline limitavano lo sguardo all’orizzonte come i bastioni limitavano il paese sulla terra. Ma c’era il cielo su tutto, sulle voci antiche, sulla sua presente…
Infine, Tosca, portinaia in un condominio sulla riviera ligure (mi ha ricordato la Renée de L’eleganza del riccio della Burbery) che ama l’opera e i romanzi giapponesi, e che diventa testimone della materia del vivere quotidiano (Geno Pampaloni). Si tratta di un romanzo sperimentale a più voci, in cui si misura la scrittura al femminile di Gina Lagorio. Qui il felice passato viene rivissuto con leggerezza per scivolare nella solitudine attutita dal vino, dalle sole voci amiche del palazzo – Gigi e Toni – ma soprattutto dai gatti umanizzati che fuggono impazziti quando l’esattore del gas scopre il cadavere di Tosca. Sprofondò un attimo nella coltre di nuvole che c’era sotto il corridoio, là dove s’interrompeva verso il basso… era così lontana la piccola luce celeste là in fondo… era stanca… Laggiù la luce si spense.
Ringrazio il mio amico poeta Dante Maffia che ha dettagliatamente attraversato la mappa-universo Lagorio e che anni fa risvegliò in me la curiosità per una scrittrice della quale, fin da quando ero ragazza, avevo vaghi ricordi. Mi sono lasciata trascinare dal flusso di sensibilità, passione, conoscenze, senso critico (che ha fatto della Lagorio una coerente testimone del suo tempo, una Penelope senza tela, dal titolo di una raccolta di suoi elzeviri, curata da F. Mollia) che è stato, per me, il viaggio di una vita verso casa, luogo ritrovato alla fine del processo di liberazione, al mio telaio. Non so se sia per la mia natura femminile, ma la casa è stata sempre un elemento essenziale della mia vita, un punto di riferimento da cui partire e cui tornare, e che ho cercato perciò di rendere la più simile a me, la più riconoscibile, luogo unico fra i molti possibili luoghi.
Solo affrancandoci dall’attesa, ci ritroviamo in noi. A casa.
ennebi
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Mariolina Rocco (domenica, 20 ottobre 2024 14:58)
Altra interessante biografia, cara Nuccia...Che dire, se non viva il talento e viva le donne!!!
Antonella Barone (lunedì, 21 ottobre 2024 06:45)
Coraggio, talento e passione. Le tante espressioni femminili ben condensate in questa magnifica donna. Sempre grazie, Nuccia, per raccontarcele.
Nuccia Benvenuto (lunedì, 21 ottobre 2024 10:01)
Care Mariolina e Antonella,
grazie per la passione che ci accomuna.
Viva noi!